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Channel: Trasmissioni – Con i piedi per terra
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Nel lunario omaggio al bue, il re della fattoria

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Agri 1025_20140628_Tranche 01-1Oggi vorrei dedicare questa puntata del lunario non a un santo, ma a un animale che nelle campagne godeva di una grandissima venerazione: il bue.
Inizio come al solito con un proverbio, romagnolo, che ne ricorda il ruolo fondamentale per l’agricoltura del passato e che spesso scandiva il tempo dei lavori nei campi. San Gudenz ciapa i bu e mettie inenz, San Simon staca i bu ma dal timon. Cioè: San Gaudenzio prendi i buoi e mettili davanti, san Simone stacca i buoi ma dal timone. Proverbio che ricorda che per san Gaudenzio (14 ottobre) è ancora tempo di arare, mentre per san Simone (28 ottobre) bisogna aver già finito.

San Gaudenzio, per onor di cronaca, è il patrono di Rimini, luogo dove subì il martirio nel 360, e fu il vescovo che con Mercuriale di Forlì, Rufillo di Forlimpopoli e Leo di Montefeltro, si fece letteralmente in quattro per combattere l’eresia ariana. Dopo il concilio di Rimini, prima di essere linciato dagli Ariani, si rifugiò con altri vescovi cattolici in un paesino che da allora – alcuni sostengono – porta il nome di “Cattolica”.

Ma torniamo al bue. Per secoli e secoli il bue è stato il re della fattoria. A testimonianza di quanto questo animale fosse nel cuore della popolazione, sono rimasti un’infinità di proverbi e modi di dire. Molti di loro hanno per oggetto la straordinaria forza e l’attitudine al lavoro dell’animale. Si dice “E’ forte come un bue” o “Lavora come un bue”, a chi dimostra di possedere forza e impegno superiori alla norma. Impegno che veniva reso solo se gli animali erano nutriti a dovere, da cui il proverbiale “Mangiare come un bue”. Una comune credenza, usata per spiegare il motivo per il quale i buoi, così forti e potenti, ubbidiscano pazientemente agli ordini dell’uomo, vuole che essi vedano gli oggetti e le persone più grandi del naturale.
Quasi tutti i buoi che tiravano l’aratro si chiamavano in passato Bi e Ro, rispettivamente il bue di sinistra e di destra. L’origine dei nomi è antichissima, e deriva dalla consuetudine di abbinare al giogo buoi con mantelli di colore diverso. Ro infatti la versione dialettale di rubius (rosso), mentre Bi, o Bunin, di bonellus (fulvo). Al posto di Bi, si usava spesso Gi, maschile di Géla – nome della mucca di sinistra – adattamento dialettale del volgare gilia, la creta per vasi, anch’essa di un colore tendente al rossiccio. Tali nomi erano così comuni che in Romagna, quando tutto andava in malora, si diceva A j’avem pers e’ Ro e e’ Bunin (Abbiamo perso il bue di destra e quello di sinistra – cioè, tutto).

Infine, il giogo, oggetto sacro quasi come il bue. Guai rovinarlo, rubarlo o bruciarlo. In passato si diceva che chi l’avesse fatto sarebbe stato condannato a una lunga agonia prima della morte; agonia che poteva essere abbreviata mettendo al capezzale dell’infermo un altro giogo.


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