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Channel: Trasmissioni – Con i piedi per terra
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Nel lunario il solleone e il santo cane

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s-guinefortAgosto è il mese del “solleone”, il mese nel quale gli uomini, fiaccati dalla canicola, tendono a dimenticare i doveri coniugali. Da qui il detto “D’agosto, moglie mia non ti conosco”. Ora il modo di dire ha assunto un significato diverso, e riguarda più i tradimenti estivi dei mariti, ma in origine si riferiva alle fatiche nei campi e alle poche energie che restavano dopo il lavoro.
Non a caso questo mese era reputato infausto per molte azioni, soprattutto quelle legate alla vita familiare: i matrimoni erano quasi banditi, così come i traslochi e le pulizie di casa. Di malaugurio, in agosto, anche non bagnarsi in mare, dato che in passato si diceva che la morte sarebbe arrivata entro l’autunno.
Ma torniamo al solleone e alla canicola.
Con il termine “solleone” è tradizione indicare sia il sole dell’estate, specialmente quello delle ore intorno al mezzogiorno, sia il periodo estivo compreso tra l’ultima decade di luglio e la prima metà di agosto. Il motivo è semplice, tra il 23 luglio e il 22 agosto il Sole si trova nel segno zodiacale del Leone. Più semplice di così…
La spiegazione di canicola è più complessa. Il termine deriva dal latino canicula, (cagnolino), nome con il quale veniva chiamata la stella Sirio, la stella più luminosa della costellazione del Cane maggiore.
Questa stella, che tra il 24 luglio e il 26 agosto sorge e tramonta con il sole, era vista dagli antichi egizi come una sorta di cagnolino da guardia che, attento al correre del tempo, avvertiva dell’arrivo delle periodiche inondazioni del Nilo.

Sulla canicola esistono diverse leggende medievali. Si credeva ad esempio che la presenza di Sirio nel cielo fosse la causa della calura che, sommandosi a quella del sole, avesse il potere di “surriscaldare il sangue”, facilitando le malattie. Tale fenomeno, si scoprì, era in realtà causato dal corrispondente aumento delle zanzare malariche e dell’insorgere delle febbri.

La tradizione più curiosa è pero quella san Guinefort, il santo cane, che si festeggiava un tempo durante la canicola. Sì, non sto parlando di un santo patrono dei cani, ma proprio di un santo cane, un levriero per la precisione.

San Guinefort di Borgogna, levriero di razza, visse nel XIII secolo, ed è oggetto di devozione popolare per i miracoli che scaturirono presso la sua tomba, nei pressi di Lione.
Secondo la leggenda, il cane venne ucciso ingiustamente dal padrone, che lo credeva colpevole di avergli ucciso il figlio di pochi mesi. In realtà, il santo levriero venne trovato sporco di sangue non per aver ucciso il neonato di nobile stirpe (che invece salvò da morte certa), ma per aver ucciso una vipera che stava mordendo il bambino.
Una volta scoperto l’errore, e ritrovato vivo il figlio, il cavaliere seppellì il cane in una tomba coperta di pietre, luogo che presto divenne meta di pellegrinaggi e presso il quale avvennero per secoli miracolose guarigioni in favore dei bambini.
Il “culto” resse per 7 secoli fino a quando, negli anni trenta del XX secolo, la Chiesa cattolica lo proibì definitivamente.
Con la canicola, come queste storie dimostrano, può accadere di tutto. Perciò, un consiglio, quando il solleone è alto in cielo, restate all’ombra.
Sabato 16 agosto

Il 16 agosto si festeggia una dei santi più venerati in Italia: san Rocco.
Figura leggendaria, nacque a Montpellier nel 1295, visse a lungo in Italia, dove si prodigò fino alla morte nel portare conforto agli ammalati di peste, malattia che lo portò alla tomba e alla gloria eterna. Nell’arte è sempre raffigurato in abiti da pellegrino, categoria della quale è patrono assieme a quella dei viaggiatori, mentre mostra una piaga provocata dalla peste sulla propria coscia.
Per questa sua caratteristica di Santo guaritore, particolarmente attento alle malattie infettive, è venerato come protettore degli invalidi ed è invocato contro la peste, il colera, le epidemie e le malattie contagiose in genere.

Il Santo è sempre ritratto con al fianco un cane, spesso con in bocca un pezzo di pane. Le antiche agiografie, infatti, narrano che un cane, durante la malattia di Rocco appestato nei pressi di Piacenza, portasse quotidianamente al Santo un pezzo di pane sottratto alla mensa del suo padrone e signore del luogo, un tal Gottardo Pallastrelli, che poi, affascinato dalla carità cristiana di Rocco, lo seguì nel suo peregrinare. Questo episodio ha portato san Rocco ad essere anche il protettore dei cani.

Nel folclore il cane – specie i bastardini detti “cani da pagliaio” – ha un ruolo di primordine, benché sia praticamente l’unico animale a non avere né valore commerciale né capacità di produrre reddito. In quanto a servire, il cane da pagliaio serve a poco. L’unico impiego, oltre a far giocare i bambini, è quello di dare l’allarme ogni qualvolta uno sconosciuto si avvicina all’aia. Per addestrarli a questo, ancora cuccioli, i padroni un tempo li davano in braccio a un forestiero compiacente che, con rudezza, fingeva di buttarli dentro un forno acceso. In Romagna – su questa tradizione – dicevano At mett in te foran, parchè tan cnossa insun d’intoran – (Ti metto nel forno, perché non devi riconoscere nessuno intorno).
I cani da pagliaio, benché molto simili tra loro – piccoli di statura, orecchie pendenti, coda arricciata e pellame macchiato – sono di una razza indefinita. Se nell’aspetto la selezione “al contrario” non gli ha certo favoriti, questi bastardini possiedono una grande resistenza fisica, mangiano pochissimo e, illuminati dall’istinto di sopravvivenza, si dice riuscissero perfino a curare da soli i propri malanni.
Uno dei pochi pericoli per questi cani, e per i loro padroni, era in passato la rabbia. Per contenere la diffusione di questa malattia i praticoni e i veterinari sfruttavano il comportamento dei cani rabbiosi, i quali, dopo avere infettato con un morso un altro animale o un uomo, si dirigevano sempre e misteriosamente verso levante. Catturare i cani idrofobi era infatti importante sia per scongiurare la trasmissione del morbo, sia per permettere un’immediata cura all’infetto.

Tra le altre superstizioni riguardanti i cani, la più comune è che vederne passare è generalmente segno di cattivo auspicio, mentre sentirli abbaiare porta fortuna. Quando un cane ulula di notte, è un segno funesto e presagio di morte, così come se mugola sommessamente vicino a un ammalato (in Romagna dicono che Quând ch’l’urola e’ cân la bara la j’è pöc luntân – Quando ulula il cane la bara è poco lontana). Porta sfortuna anche se per errore si uccide il proprio cane o se si transita dove due cani si sono accoppiati.


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